Ti sei mai chiesto come faccia un chatbot a comprendere il linguaggio naturale e a rispondere come farebbe un umano? La risposta è semplice: dietro ai chatbot ci sono sempre uno o più esseri umani, chiamati Conversation Designers, i quali cercano appunto di fornire una voce il più umana possibile al bot.
Conversational Designer: chi è e cosa fa
Alla base di qualsiasi interazione fluida c’è la capacità di comprendere senza ambiguità e di rispondere in modo coerente. La comunicazione tra umani e chatbot non fa differenza. Un chatbot comprende i messaggi grazie alle tecnologie NLP che analizzano e interpretano il linguaggio naturale usando complessi algoritmi di Machine Learning. I Conversation Designer (lavorando in qualità di Linguisti Computazionali) si occupano del training di questi algoritmi, alimentandoli con set di testi pre-analizzati che la macchina possa utilizzare come esempi da seguire per "imparare". I chatbot, poi, devono fornire la risposta corretta, ovvero la più rilevante tra quelle presenti nel loro database. Queste risposte, oltre a cercare di essere più “naturali” possibile a livello conversazionale, devono anche essere facilmente reperibili attraverso percorsi guidati o domande spontanee. Per farlo, le interfacce conversazionali hanno bisogno di una voce, una personalità e una consapevolezza del contesto simili a quelle umane. I Conversation Designer delineano tali caratteristiche in modo da creare una Customer Experience personalizzata e una UX coinvolgente. In conclusione, un Conversation Designer è un Linguista che gestisce la componente NLP di un chatbot, che progetta i suoi Flussi Conversazionali e che scrive il copy più appropriato per ciascuno di questi flussi.
Vediamo come.
Come dare una voce a un chatbot in 3 step
Cosa vuol dire dare una voce a un chatbot? Significa curarne la componente comunicativa, cioè fornire all’utente la risposta che cerca, coinvolgendolo in un dialogo piacevole. Ecco come ci muoviamo noi di Heres.

Step 1 - COMPRENDERE: cosa l’utente sta dicendo
Capire le esigenze degli utenti è di primaria importanza se si vuole che il proprio chatbot abbia successo. Individuare l’intento corretto dell’utente, tuttavia, non è un compito semplice.
Anche se le tecnologie NLU (Natural Language Understanding) possono effettuare un’analisi semantica, sintattica, fonetica e morfologica degli enunciati scritti e orali, la pragmatica rimane una vera sfida. Poiché le lingue umane sono formalmente complesse e altamente dipendenti dal contesto, una richiesta può essere espressa in così tanti modi diversi e ambigui, che è piuttosto improbabile riuscire a mapparli tutti.
I Conversation Design, tuttavia, cercano di trovare dei pattern nelle richieste degli utenti e di alimentare gli algoritmi di NLU con esempi che possano aiutarli ad associare richiesta e risposta. Per farlo possono essere necessarie diverse azioni, che si concentrino di più su uno o un altro dei livelli di analisi linguistica possibili e che variano in base al sistema di NLU adoperato, che per noi di Heres è il motore linguistico di Google, Dialogflow.

Step 2 - RISPONDERE: guidare l’utente alla risposta
La seconda fase nella pianificazione di una conversazione è progettarne i flussi e quindi guidare l’utente verso tutte le risposte presenti nel database.
Per cominciare, le informazioni possono essere fornite tramite due modalità: rispondendo alle risposte spontanee o guidando gli utenti lungo percorsi specifici. Questi due metodi sono confrontati tramite un’analisi SWOT in un altro nostro articolo di approfondimento e possono essere combinati per fornire una migliore UX conversazionale.
In questa fase, i Conversation Designer pianificano dei percorsi strutturati ad albero sulla base di un’attenta analisi del dominio e degli argomenti specifici gestiti dal chatbot.
Possono inoltre customizzare queste risposte sulla base di fattori esterni, quali la pagina del sito in cui ci si trova o il momento del giorno o dell’anno, e ad anagrafiche e abitudini dell’utente, come lingua, età, numero di ordini o acquisti frequenti, che possono essere richiamati da tool di CRM e marketing automation già esistenti o tramite logiche create internamente.

Step 3 - INTRATTENERE: personalizzare la personalità del chatbot
Meglio un assistente automatico formale o informale? Serio o spiritoso? Rispettoso o ironico? Meglio un linguaggio forbito e altisonante o uno slang semplice e diretto? Meglio fornire soluzioni concise e pragmatiche o intrattenere con battute di spirito ed estrosi giri di parole?
Tone of voice e seriosità dipendono naturalmente in larga parte dal brand coinvolto e dal target di utenti a cui ci si rivolge. Scrivere le conversazioni di un chatbot non significa, però, solo far sì che la grammatica sia corretta, il tono appropriato e la scelta lessicale accurata, ma anche giocare con le parole, con gli standard culturali e con la conoscenza condivisa, affinché le risposte del bot sembrino il più naturali possibile e l’esperienza conversazionale risulti mirata. Vediamo qualche esempio del cosiddetto smalltalk, cioè di quelle conversazioni off-topic esclusivamente mirate a intrattenere chi chatta.
Non esiste una UX conversazionale perfetta, ma solo Conversation Designer perfettamente flessibili
Nel progettare e scrivere le conversazioni, infine, è necessario tenere a mente che la UX conversazionale perfetta non esiste (per ora). Ciascun chatbot deve modellarsi sulle esigenze dei clienti e degli utenti finali. Inoltre, quello del Conversational Designer è un lavoro nato da poco, quindi l’unica vera regola è imparare dall’esperienza al fine di individuare la UX più soddisfacente.